Invece di lamentarsi della carenza di figure, è ora di chiedersi che tipo di datori di lavoro si vuole essere. Perché l’ospitalità non si improvvisa: si costruisce, con una visione, pianificazione e formazione. Solo così si uscirà da un’emergenza ormai sistemica.
Con l’avvio della stagione turistica, torna puntuale il solito ritornello: “Non si trova personale!”. Un grido d’allarme ormai diventato cronico, accompagnato da un dibattito sterile e fuorviante tra chi accusa i giovani di non voler lavorare e chi, dall’altro lato, denuncia condizioni di sfruttamento. Il vero nodo non è se le persone vogliano lavorare, bensì per chi, come e in quali condizioni. Al centro della crisi strutturale dell’hotellerie italiana c’è un errore strategico grave: la sistematica sottovalutazione del capitale umano.
A lanciare un segnale forte è Maurizio Galli, secondo il quale non è la “scarsità” di lavoratori, ma la mentalità miope di molti imprenditori che continuano a considerare lo staff un costo da tagliare anziché un investimento da valorizzare. “Ogni estate si ripete lo stesso copione: strutture ricettive pronte ad accogliere, ma prive di chi sappia davvero accogliere”, denuncia il fondatore di Formazione Alberghiera.
Nel settore dell’ospitalità, il personale non è un riempitivo stagionale, ma un elemento chiave per la redditività. Un addetto al front office ben formato può aumentare concretamente i ricavi, fidelizzare la clientela e migliorare la reputazione online. Eppure, molti albergatori scelgono di risparmiare proprio su formazione e stipendi, innescando un circolo vizioso che porta a turnover elevato, clienti insoddisfatti, calo della produttività e perdita di credibilità del brand. Formare richiede tempo, metodo e risorse, certo. Quanto costa, ogni anno, non farlo? L’assenza di un piano strutturato genera personale impreparato e discontinuità gestionale, con il rischio concreto di un crollo nella qualità dell’esperienza offerta.
“Un collaboratore fidelizzato è un asset: lavora meglio, anticipa i bisogni del cliente, fa squadra. Rende di più. È un investimento che si ripaga in termini di marginalità”, sottolinea Maurizio Galli.
In un’epoca in cui la tecnologia può supportare i processi, ma non sostituire l’empatia e la cura del servizio, è chiaro che le persone fanno la differenza. La qualità dell’accoglienza non si misura in metri quadrati o gadget hi-tech, ma nella professionalità e motivazione dello staff. Per questo, Formazione Alberghiera lancia un appello chiaro: serve un cambio di passo culturale. La professionalizzazione del personale non è un lusso per le grandi catene, ma una necessità per ogni struttura che voglia restare competitiva. Ignorarlo è, semplicemente, un suicidio strategico.
“Chi non investe nelle persone, investe nel proprio declino”, ammonisce Maurizio Galli. “Se ogni anno si riparte da zero, forse il problema non è chi non vuole lavorare, ma chi non vuole crescere”